Fare opera : della misura poetica del gesto…

(…) Eppure, l’angelo ha ripiegato le sue ali nel barattolo, il barattolo si è immerso nell’argilla, l’argilla si è incastrata nel tavolo, il tavolo stringe nei suoi piedi i resti di una cassaforma. Senza un movimento di polvere: né sollevamento furtivo, né morbida caduta, né deposito, il tempo si è fermato. Mantenute l’una all’altra, le cose sono bloccate. Il movimento una volta suggerito dai carrelli, il brulichio dei fili, l’orientamento degli elementi, ha lasciato posto a una disposizione più stabile, massiva, opaca, più grave.

Eppure, l’argilla ha lasciato, fino ad oggi, il muro per il tavolo; il muro, in cambio, riceve il legno; il vetro si unisce al pavimento; la cera, che ancora nutre i bordi, lascia l’ago per levigare il filo. Il movimento si sposta… Lo spostamento diventa processo. Principio vitale dell’opera; assente dalla sua visibilità, agisce al cuore del sistema. L’oggetto stesso, in altre posizioni, sembra, compiuto, trasformarsi in materiale di un altro assemblaggio. Da ritiri a trasferimenti, da rapporti a discrepanze, da equilibri a tensioni, si instaura una nuova topografia, fragile, lo spirito di un altro luogo.

In questa circolazione di segni, esporre, a sua volta, può essere un congelamento del tempo. Interruzione momentanea o durata di un silenzio – nel suo senso musicale, la pausa si percepisce così. Per l’artista, le domande si moltiplicano: a cosa serve finire? Perché interrompere ciò che muove il pensiero? Mostrare ciò che è compiuto è una cosa pensabile? Dove fissare i limiti tra condurre un’opera alla sua pienezza e concludere un lavoro, terminare, mettere un punto ?

Rifiutare, quindi, l’opera unica e disporre in modo casuale nello spazio accogliente. (All’opposto di un lavoro in situ). Costituire un insieme dove l’unica esigenza dell’oggetto depositato è il bisogno dell’altro. Articolare costantemente, lontano da ogni artificio. Far emergere insieme. E lasciare l’opera aperta. Nella sua fluidità, nei suoi rimandi, nei suoi richiami. E nella sua ricerca. Dal termine all’infinito.

Accogliere il tempo, accettarne la durata. Dedicarvi anni per scegliere un filo, aspettare che l’olio si asciughi, stendere attentamente la cera con il pennello, lasciare emergere un titolo, come un faro, e levigare pazientemente. Silenzio. Ricominciare. Silenzio. Insistere. « È con il tempo che si costruisce un luogo », un luogo particolare dove la luce non illumina, o quasi, un luogo come in pericolo, una stanza di enigmi.

E questa scena, improvvisamente, in Tarkovskij, dell’albero morto: annaffiare l’albero morto. Importa molto meno che l’albero torni vivo. L’essenziale non è forse annaffiare ?

Marie-Luce Thomas – 2002

Exposition collective Encombrant – St Pierre des Corps – 2002