Slitte di luce. Chiaroscuro, ambivalenza, energia…

Slitte di luce. Chiaroscuro, ambivalenza, energia. Tante parole che sono chiavi per entrare nell’opera di Alain Quesnel. Un lavoro che interroga, sorprende, ma non può lasciare indifferenti, perché ci parla, senza che lo comprendiamo al primo sguardo, di energia, di dualità e di equilibrio. L’importante è soprattutto prendersi il tempo. L’approccio all’opera avverrà nel silenzio, poiché nella confronto si annoderanno lo scambio e il mistero. Mistero dei carri bruciati o lucidi fino alla perfezione dell’usura del tempo, portando la lastra di cartapesta che si presenta, grigia, tomba di parole dimenticate e memoria dello scritto. La debole luce dei fili elettrici, energia e soffio di vita al cuore dell’opera, si riflette in mille sfumature sulle fratture delle lastre di vetro che giocano con la loro trasparenza. Queste Slitte di luce sono l’immagine dei giacenti o l’idea del viaggio, del movimento? Ognuno sceglierà in questa dualità. La luce è al centro dell’opera vacillante e fragile eppure speranza, grazie a questo flusso di energia indispensabile alla vita.

I materiali utilizzati non sono scelti a caso, ma pensati e selezionati per la loro capacità di trasformazione e la loro ambivalenza: carbone di legna (calore e distruzione), cotone (purezza e ferita), vetro (trasparenza e taglio). Dualità presente anche in questa idea del chiaroscuro, costante nell’opera di Alain Quesnel. Ci rimanda ai paesaggi del Grande Nord e del Canada, dove le terre di un nero profondo si rivelano in primavera, opponendosi alle lastre immacolate, stimmate delle nevi invernali. Lì ha soggiornato e ha detto lui stesso: «Più salivo verso nord, più il colore scompariva dalla mia pittura».

La pittura è proprio questo di cui si tratta, e non un’installazione o una scultura. È in realtà un quadro tridimensionale, che ha un unico e solo angolo di visione: «Si tratta solo di frontalità, nient’altro». Ma per concludere, lasciamo che sia Alain Quesnel a esprimersi: «Questi grandi carri, costruzioni di legno carbonizzato, carichi di materiali diversi, che fungono alternativamente da induttori e conduttori, sono per me importanti nel mio lavoro, già realizzati in diverse dimensioni, in luoghi differenti, con materiali vari. Il carro rappresenta l’oggetto nomade per eccellenza. E se racchiude in sé un intero spazio attraverso il suo contenuto, simboleggia anche, con il suo movimento virtuale, l’apertura verso il mondo esterno».

Françoise Plessis – Exposition Chantier d’Artistes – CRDC Espace Graslin – Nantes – 1994