Sui sentieri del carico, instancabili viaggiatori…

Composizioni singolari, assemblaggi distesi. Isole di luce. È questa la prima cosa che si vede. Il dispiegarsi di arcipelaghi insoliti nell’oscurità di un luogo. Tutto fatto di collegamenti, raccordi e connessioni di elementi eterogenei. Solo a un primo sguardo, che abbraccia l’insieme, dà il tono e lascia il suo segno, mettendo in circuito oggetti posati e visitatori… A guardare meglio, lentamente, in seguito, emerge un insieme di materiali privilegiati, ricorrenti, un vocabolario di transito per siti stellari. Componenti emblematiche.

Tra queste: il carbone di legna, l’ovatta, la cartapesta, il vetro… Tutte materie catturate in un momento nella catena delle trasformazioni. Momenti provvisori. Modificazioni delle origini. Questi materiali sono i segni di una condizione effimera, parlano della precarietà del presente. Portano con sé gli effetti del tempo. I carrelli ne segnalano il movimento. Usati, levigati, calcinati, recentemente fasciati, curati, protetti, danno l’immagine della locomozione necessaria che anima ogni viaggiatore. Manifestano anche il carico, il peso. Non tanto la presenza di un bagaglio quanto quella di una memoria. Friabile, volatile. Del resto, cos’altro trasportano se non polveri, trasparenze e leggerezza, resti fragili, tra presenza e scomparsa. Come il giovane Golem plasmato nell’argilla, che passa dall’inanimato all’animato e fu nuovamente distrutto dalla sola volontà del mago.

Così Alain Quesnel dispone, combina, ordina spazi in cui si tratta di passaggi e di stati intermedi. Tra due estremi, due poli, due stati. Luoghi di trasformazioni discrete, di esperimenti segreti in cui traccia il percorso delle energie. La luce è al centro dell’opera, è il suo respiro, la sua vita interna. Manifestazione regolata di correnti latenti, propaga energia al pari dei fili che scaturiscono e scorrono lungo le aste di rame e si insinuano negli elementi. C’è un principio di equivalenza in questo lavoro. E di risonanza. Se i fili delineano il flusso e il legame, la luce delimita e distingue territori autonomi, ne rivela l’architettura, vi infonde la sua magia. Corpo fisico, sussurra la sua presenza o proclama il suo bagliore e intona risposte ai neri e ai bianchi. Condensa e magnifica i ruoli giocati nella pittura: come fonte necessaria alla nascita del visibile e come frammento di spazio integrato nell’insieme. Nelle installazioni di Alain Quesnel, la luce potrebbe essere il colore, le materie formalizzate costituendo il disegno.

Si potrebbero notare nella messa in scena altre analogie che l’artista rivendica con la pittura e il disegno. Ad esempio, nel linearismo rettilineo dell’insieme. Una messa in scena che si basa sulla successione, sul movimento avanti e indietro, sull’inseguimento. Che si legge sul piano, lungo l’asse. Orientata. Una sequenza senza nulla di catastrofico rispetto all’opera di Fischli e Weiss, Il corso delle cose, che mette in scena i rapporti gioiosi di causa ed effetto. Qui non ci sono turbolenze, ma la modulazione sommessa del canto fermo. Una forza mantenuta. Scali immobili. Apparentemente. E poi degli intervalli. I pittori del Rinascimento, che sperimentalmente inventavano lo spazio (continuo e omogeneo) ma non lo concettualizzavano ancora, usavano il termine locus e non spatium per indicare il luogo del colore sui pannelli: « Dopo aver posato il colore al suo posto… », il pittore doveva unirli. Lo spazio significava allora intervalli. Alain Quesnel si collocherebbe più dalla parte del locus che dello spatium. Dispone le cose nel loro luogo, senza altro legame che il filo e il pensiero. L’installazione assume l’aspetto di un’allegoria.

In un libro degli anni Settanta, L’erba del diavolo e il piccolo fumo, l’antropologo Carlos Castaneda racconta la prima lezione ricevuta dal suo stregone Yaqui. Alla ricerca di una conoscenza diversa, era fondamentale che imparasse a scoprire innanzitutto, tra tutti i luoghi possibili che il suo corpo poteva occupare in uno spazio, il suo posto, il suo luogo proprio. Estenuanti furono le ricerche sollevate da queste domande: come procedere? Su quali criteri basarsi? Come orientarsi? Un’energia ostinata lo portò a sperimentare una topografia casuale quanto non razionale da Est a Ovest, da Nord a Sud, metro per metro, fino a trovare e a imporre un’altra logica. Potrebbe essere questo ciò che Alain Quesnel ci mostra: il suo posto, poi questo, e un altro ancora, i suoi luoghi propri, ma sempre diversi. Potrebbe essere questa energia e questo percorso, questo avanzare senza un punto di partenza né di arrivo, senza un fine iniziatico: la messa a nudo di un flusso tra le cose, un’idea di attraversamento, di relazioni e di trasformazioni senza soste prolungate o piuttosto con fermate immagine – le opere esposte – in un continuum complesso e fluido. Tappe, situazioni brevi, miniature ramate per narrare le grandi cronache di uno spostamento, per esprimere il desiderio di continuare, di aprire nuovi percorsi, di esplorare nuovi territori al ritmo di una passeggiata mentale senza orientamento, semplicemente per impulso e per i rischi di un processo interno.

Marie-Luce Thomas – 1994

Exposition Alain Quesnel – Illuminations – Le Blanc – 1994